La storia di Girolamo Lucchini e della rapina al Monte di Pietà di Bologna compiuto nella notte tra il 24 ed il 25 gennaio del 1789, è così straordinaria che ancora oggi è ricordata nelle cronache bolognesi.
Ai tempi del furto, il Monte di Pietà esisteva già da più di 300 anni. Era l'istituto di prestito su pegno più antico di Bologna e la sua fondazione risaliva al 1473 ad opera del frate francescano osservante Michele Carcano da Milano.
Girolamo Lucchini arrivò a Bologna nell'estate del 1772. Discendeva da un conte che possedeva una tenuta agricola a Cadiopi, nei pressi di Verona. La rendita derivante dall'affitto del fondo, però, sicuramente non gli garantiva una sussistenza adeguata alle sue esigenze e così a Bologna questo nobile un po' squattrinato trovò il modo di guadagnarsi da vivere con altri lavori. Agli occhi della comunità Lucchini si occupava di costruire mobili, pistole, stecche da bigliardo e di altri lavori meccanici, ma queste sue abilità celavano ben altro potenziale d'azione.
Egli era esperto nella falsificazione di monete e chiavi e prima della rapina al Monte di Pietà aveva compiuto diversi furti in città: al mercante di tessuti Lorenzo Righetti che aveva la bottega nei pressi della Chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano nel 1773 ed alla "Pubblica Salara", il negozio di rivendita del sale all'angolo fra via de' Pignattari e Piazza Maggiore nel 1785.
Questi furti furono eseguiti con intelligenza, abilità ed eleganza senza eguali, ma è chiaro che Lucchini non ce l'avrebbe mai fatta senza un aiuto.
Complice dei crimini di Lucchini era infatti Berenice, la sua compagna, una donna che aveva conosciuto al suo arrivo a Bologna e che avrebbe amato, come poi vedremo, fino alla fine dei suoi giorni.
Ora, veniamo allo "strepitoso furto di gioie, ori, argenti e denari" ai danni del "Sacro Monte di Pietà", che avvenne fra il sabato 24 gennaio e la domenica 25 gennaio del 1789.
Lucchini lo aveva pianificato nei minimi dettagli fin dal 1788: i tempi, l'attrezzatura necessaria, i punti di accesso. La notte del 24 gennaio 1789, vestito di abiti scuri e con una capace borsa, imboccò vicolo Boncompagni (oggi via del Monte), entrò con una chiave falsa nel cortile del Monte , scalò il muro dell'edificio con una scala appositamente costruita e riuscì ad accedere da una finestra segandone le inferriate.
Una volta dentro, cominciò la vera impresa: scassinò l'armadio nella quale erano custodite due delle tre chiavi che servivano ad aprire la stanza dei pegni. La terza, quella più complessa, dovette falsificarla. Quando girò le tre chiavi nelle rispettive serrature gli si spalancò davanti un vero e proprio tesoro: oro, argento, brillanti, diamanti, gioielli di ogni tipo. Mise dentro alla sacca tutto quello che poteva contenere, come pure il denaro custodito nella cassaforte dei contanti.
Poi lasciò le chiavi inserite nelle serrature ed uscì dalla stessa finestra dalla quale era entrato.
Raggiunse la sua abitazione in via San Felice, all'altezza dell'odierna via della Grada, che era quasi l'alba e non appena rientrato, nascose sia attrezzi che parte della refurtiva in una buca sotto il pavimento.
All'indomani della rapina, il Monte di Pietà avviò un'indagine interna per appurare eventuali responsabilità da parte dei dipendenti e furono contattate le autorità locali perché si attivassero per individuare i colpevoli dell'atto.
La Polizia brancolò nel buio per due mesi prima di arrivare a Lucchini. Nel frattempo la notizia del furto era dilagata in città, alcuni dipendenti del Monte di Pietà erano stati arrestati ed il direttore, Giovanni Pietro Barbiroli Salaroli, praticamente accusato di negligenza dopo 20 anni di fedele servizio, fu costretto a contribuire insieme ad altri tre dipendenti alla metà della cifra ammancante ed a chiedere il pensionamento.
Non è chiaro come la Polizia giunse a Lucchini. Evidentemente, fu raccolto qualche indizio, qualche sospetto generico che indusse ad avanzare richiesta di ordine di perquisizione al Cardinal Legato che, anche se un po' incerto (gli risultava che il sospettato fosse nobile e che gli indizi fossero molto generici), decise di firmare l'ordine di perquisizione.
La Polizia piombò nella casa di Lucchini alle due di notte del 4 marzo 1789, senza dare tante spiegazioni e perquisì accuratamente l'appartamento.
La refurtiva non fu trovata, ma quattro cose attrassero l'attenzione: due orologi d'oro, una pistola carica sul comodino, la strana chiave di casa e i numerosi attrezzi, ferri e lime. A questo si aggiungeva lo strano atteggiamento di Berenice che, non appena visti i poliziotti, aveva cercato di nascondere gli orologi.
Quindi, i due furono arrestati prima di tutto per rendere conto del loro stile di vita e di cosa Lucchini lavorasse con quegli ordigni.
Gli interrogatori furono pressanti, perché gli indizi raccolti nell'appartamento non bastavano per l'accusa di furto ed inoltre i due continuavano a negare.
Poi, l'11 marzo 1789, l'indagine ebbe una svolta inaspettata: Berenice confessò in cambio dell'impunità, rivelando anche il modo di aprire la buca sotto il pavimento dell'appartamento di via S. Felice in cui erano nascosti il bottino del colpo al Monte e le macchinette per falsificare le monete. Le autorità si recarono alla casa di Lucchini in via S. Felice ed ebbero la conferma che Berenice aveva detto la verità. Tutto ciò che era nascosto in quella buca fu portato al Torrone.
Ma si dovette attendere fino al 1790 per avere una confessione completa da Lucchini, non solo del furto al Monte di Pietà, ma anche degli altri furti e truffe commesse. Per convincerlo, i magistrati decisero di mettere a confronto lui e Berenice, sottoponendo lei a tortura sotto i suoi occhi.
Funzionò: il giorno del confronto, al solo pensiero di quello che poteva subìre la persona che amava più al mondo, Lucchini confessò tutto.
Il processo iniziò alla fine del 1790. Lucchini fu difeso strenuamente dall'avvocato Ignazio Magnani. Ma non bastò. Il 18 febbraio 1791 fu condannato a morte per impiccagione. Poi la pena venne commutata in decapitazione dal Cardinal Legato di Bologna a seguito della richiesta di grazia presentata dall'avvocato Magnani: il Papa aveva già risposto "Non sono grazie da domandare", perciò questo era il massimo che le massime autorità ecclesiastiche locali potevano concedere.
Il 26 febbraio 1791, nella Piazza del Mercato presso la Montagnola (l'attuale Piazza VIII Agosto), la condanna venne eseguita. Lucchini venne sepolto nel cimitero attiguo a San Giovanni Decollato, dove oggi si trova l'ex Sferisterio di Bologna.
Berenice uscì dal carcere nella notte del 27 febbraio 1791, molto più tardi dell'orario prefissato per le scarcerazioni. Morì nel 1802 senza che nessun cronista si interessasse di come visse i successivi undici anni. Non credo abbia mai dimenticato le parole di Lucchini: "Sappi che essendo stata tu a parte nei miei delitti, Iddio sarà quello che ti darà quel castigo che meriti" o che si sia mai sentita totalmente in pace con la propria coscienza.
In compenso, il "mito" di Lucchini come uomo tradito dalla propria donna, difeso con così tanto fervore dal suo avvocato, che aveva vissuto la sua prigionia e la sua morte con grande dignità, cominciò a diffondersi per la città. L'avvocato Magnani fece realizzare un busto dello sfortunato cliente che pare tenesse nel suo studio, si fecero stampe del suo ritratto, i cantastorie ne recitavano filastrocche di loro composizione nelle osterie, per ben tre giorni fu rappresentata al Teatro Zagnoni la commedia "Il ladro del Monte" che ottenne grandissimo successo, ed anche il burattinaio Cuccoli inserì la storia di Lucchini nel suo repertorio.
Prescindendo comunque da qualsiasi interpretazione popolare, favoleggiante o leggendaria che sia stata creata in merito, Girolamo Lucchini e la sua impresa rimangono un fatto reale e documentato da migliaia di carte scritte ed oggetti che oggi si conservano all'Archivio di Stato di Bologna ed all'Archivio Storico del Monte di Bologna.
Un'eredità importante della storia bolognese che nessuno, a questo punto, potrà mai rubarci.
Bibliografia, links ed altri materiali utili alla scrittura dell'articolo:
- "Il Conte ladro e altre storie bolognesi" di Marco Poli – Costa Editore, 1998
- Girolamo e Berenice: da un'arringa processuale del 1789 – articolo a cura di miabologna.it
- Storia del Monte di Pietà di Bologna - video realizzato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna