I tre processi modenesi per stregoneria tra il 1539 ed il 1634

Il fenomeno dell'Inquisizione in Italia è uno degli argomenti storici che trovo più interessanti. Di recente, ho avuto modo di sapere che anche nella nostra provincia bolognese si sono verificati casi di denunce verso persone sospettate di stregoneria, che successivamente sono state processate.

 

Le Streghe di Hans Baldung Grien 1508I verbali di questi processi sono conservati presso l'Archivio dell'Inquisizione di Modena, che insieme a quello di Venezia, Siena e Napoli conserva la documentazione più cospicua che testimonia l'attività dei tribunali locali durante il periodo dell'Inquizione.

La sede dell'Inquisizione di Modena è attestata infatti fin dal 1299 nel complesso del Convento di San Domenico e l'archivio consta dunque di moltissima documentazione che copre un vasto arco cronologico, dal 1329 al 1785, compresa una sezione che conserva i fascicoli processuali di oltre 6000 inquisiti.

 

Fra questi, emergono i casi di tre donne che furono processate fra il 1539 ed il 1634 con l'accusa di stregoneria e che vivevano nei territori di Gaiato (MO), San Giovanni in Persiceto e Crevalcore (BO).

 

Il primo caso del 1539 riguarda Orsolina detta "La Rossa di Gaiato", moglie del defunto Pellegrino di Sasso Rosso, che viveva in un piccolo paese della montagna modenese con la figlia Agnese, che verrà poi interrogata dall'Inquisitore di Modena contemporaneamente alla madre.

Orsolina era accusata di aver maleficiato dei bambini e di "andare al corso" o, come diceva il popolo, in "striazzo", cioè di riunirsi nei boschi insieme ad altre persone per ballare, mangiare, giocare e scherzare. Questo era essenzialmente il suo Sabba.

Orsolina, durante i numerosi interrogatori alternò ammissioni a ritrattazioni, tanto che il 10 giugno 1539, ad un mese esatto dall'inizio del processo, venne mandata a Ferrara, sede dell'Inquisitore Generale Tommaso da Bologna, che dinanzi ad ulteriori ritrattazioni, decise di farle confessare la verità sottoponendola ad interrogatorio sotto tortura. Non ci volle molto perché Orsolina confermasse nuovamente le accuse che le venivano rivolte contro, oltretutto descrivendo fatti che ricorrono nella maggior parte dei processi per stregoneria istruiti in Europa fra la fine del '400 e l'inizio del '600, come l'aver invocato il Diavolo con formule magiche o di aver avuto rapporti carnali col lui.

Il fatto che Orsolina sembri voler far credere all'Inquisitore che i fatti raccontati siano reali e possibili dopo avere negato per così tanti costituti, pare quasi un suicidio giudiziario se non si condera l'ipotesi che l'Inquisitore le abbia promesso clemenza in cambio di una piena confessione.

Non sapremo mai se andò davvero così, ma Orsolina venne condotta ad abiurare pubblicamente nella Chiesa di San Domenico e condannata al carcere perpetuo nella propria casa. Venne graziata della vita perché si era pentita dei crimini commessi.

 

James Crossley illustrazione 1613Il secondo processo è quello di Ginevra Gamberini di San Giovanni in Persiceto. La donna venne accusata nel 1603 di aver creato un sortilegio amoroso. Era stata denunciata dal cognato, Benedetto Rubini, che dopo essersi recato nella casa del defunto fratello Orlando per sgomberarla, disse di aver trovato sotto la paglia del letto delle pitture, ossia delle scritture, e si era risoluto che si trattasse di diavolerie. Nel fascicolo si legge che Ginevra era considerata una meretrice pur essendo stata una donna sposata ed allo stato della deposizione, una concubina.

Nel corso degli interrogatori, Ginevra negò con forza l'accusa di aver compiuto sortilegi per ottenere l'amore affermando che probabilmente quelle scritte erano opera di qualcuno che aveva agito per vendetta nei suoi confronti. La donna dimostrò di avere un carattere irriducibile affermando in tutti gli interrogatori successivi, anche sotto tortura, di non saper fare alcun esperimento.

Nonostante non abbia mai confessato, Ginevra venne condannata a delle pene salutari. Quello che è interessante constatare è che alla fine della sentenza, si trova la firma di Ginevra Gamberini, che è una croce. La domanda sorge dunque spontanea: è possibile che una donna analfabeta fosse in grado di scrivere formule magiche?

 

 

Il terzo caso sottoposto agli Inquisitori di Modena nel 1634 è quello di Lucia Bertozzi detta "Bartolina", levatrice di Crevalcore. Lucia non era originaria del luogo, viveva lì solo da qualche anno. Ciò la rendeva un'estranea agli occhi della comunità, un fattore determinante per le accuse che le verranno mosse contro.

Il fascicolo del processo alla Bertozzi comincia con una lettera del Vicario di Crevalcore all'Inquisitore, che racconta di come localmente vi siano sospetti ed inimicizie nei confronti di questa donna che in paese svolgeva un mestiere molto complesso e data l'alta mortalità del tempo, addirittura controverso.

Lucia era accusata di essere una "eccellentissima strega", una donna di mala vita, di aver preparato curiosi rimedi per diversi malesseri, di praticare strani "riti" mentre assisteva le partorienti e non da ultimo di aver eseguito incantesimi di legamento.

La cosa interessante di questo processo, è che Lucia risponde a tutte le accuse con grande intelligenza ed ironia, talvolta riuscendo a spostare il discorso dal piano del maleficio, al piano naturalistico di una malattia o di un rimedio utilizzato. Nemmeno sugli oggetti ritrovati durante una perquisizione in casa sua gli Inquisitori riescono ad ottenere abbastanza prove della sua colpevolezza: si trattava di oggetti di uso quotidiano, che Lucia affermò di utilizzare per devozione e per dare conforto alle donne mentre partorivano, negando inoltre qualsiasi conoscenza di pratiche di stregoneria che giudicava "minchionerie".

Tuttavia, il 4 settembre 1636 venne condannata all'esilio da tutta la giurisdizione, pena la fustigazione, ed alla confessione dei suoi peccati per un anno, la prima domenica del mese.

 

Quali sono i fattori che accomunano questi casi? Indubbiamente, ci troviamo dinanzi a donne di bassa estrazione sociale, che in genere erano sole e spesso emarginate dalla società.

Come donne, vengono ritenute le principali conoscitrici delle pratiche di stregoneria, al pari di altre mansioni che in passato erano loro riservate, come il parto, la morte, la cura e la veglia del corpo del defunto.

Simbolo dell'Inquisizione RomanaVivono tutte e tre in un'epoca nella quale il confine fra tradizioni e stregoneria è molto sottile, dove anche quelli che oggi vediamo come "i rimedi della nonna" (quindi anche le superstizioni, i piccoli riti e rimedi, etc.) vengono considerati ad un certo punto una minaccia per l'Umanità ed un male da estirpare.


La maggior parte di loro vengono condannate anche se non hanno confessato. Questo perché le maldicenze hanno il valore di un indizio e con l'Inquisizione si viene a creare gradualmente quel modello di processo penale che oggi conosciamo come "sistema inquisitorio".


Tutte e tre "se la cavano" con una condanna tutto sommato lieve invece che essere mandate al rogo. Questo perché in presenza di accuse non gravissime, il primo compito dell'Inquisizione, secondo quanto dichiarato dalla Chiesa, è convincere l'accusato a pentirsi e dimostrare che, qualora questo accada, egli può avere salva la vita ed avere la possibilità di tornare a riappacificarsi con la comunità. In presenza di gravi delitti, invece, un'eventuale rea confessa strega in genere non aveva scampo.

Questo principio viene ben espresso dai tre simboli dell'Inquizione: la Croce, il Ramo d'Ulivo e la Spada.

 

Chiaramente, le storie di queste tre donne e dei loro processi rappresentano solo un piccolissimo tassello di quel periodo storico controverso e complesso che in Europa ha portato, nel giro di quattro secoli, alla morte di circa 50.000 persone, in grande maggioranza donne.

 

Tra le pagine di questo sito vi sarà spazio per estendere la ricerca in futuro anche ad altri aspetti dell'Inquisizione Romana, se possibile anche nelle nostre terre.

 

Per ora rifletto sul fatto che sia "Stregoneria" che "Santa Inquisizione" fondamentalmente ancora esistono: il popolo ha mantenuto credenze, tradizioni e riti considerati ancora importanti ed a Roma, presso il Palazzo del Sant'Uffizio, trova sede la Congregazione per la dottrinadella fede, l'organismo della Curia romana incaricato di promuovere e tutelare la dottrina della Chiesa Cattolica.

 

Due facce di una stessa medaglia, in un certo senso, che si spera possano continuare a convivere pacificamente sotto lo stesso firmamento fino alla fine dei tempi.

 

 

Bibliografia, link e documenti utili alla scrittura dell'articolo:

  • Documentario "La Caccia alle Streghe" con Alessandro Barbero (Il Tempo e la Storia)
    Con interventi degli storici e ricercatori Alessandro Barbero, Grazia Biondi, Gianluca d'Errico, Matteo Duni e di Patrizia Cremonini, vice-direttore dell'Archivio di Stato di Modena.

  • Letture consigliate: "Streghe di Romagna, denunce e processi nelle carte del Sant'Uffizio (secoli XVI-XVII)" di Giuliana Zanelli - Società Editrice "Il Ponte Vecchio" (2017)

  • Articoli correlati su "Storie di Pianura":
    - "Una storia di religione a Castel Guelfo: il furto sacrilego del 1743"
    - "Divinità arboree: miti, leggende e tradizioni legate al culto degli alberi"

  • Su www.ereticopedia.org è possibile trovare maggiori informazioni su questi casi e anche su altri argomenti legati all'Inquisizione.

  • Immagini utilizzate:
    - in copertina, particolare dell'opera "Le Streghe" di Hans Baldung "Grien" (1508)

    - nell'articolo, una delle illustrazioni di James Crossley nell’introduzione al tomo "Pott’s Discovery of witches in the County of Lancaster" (1845), ristampato dall’originale edizione del 1613.

 

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