Varco la soglia d'ingresso di Palazzo Costabili di Ferrara, il grande “Museo in forma di Palazzo” che ospita dal 1935 i reperti di una delle più antiche civiltà che il nostro territorio abbia mai conosciuto: Spina.
Questa fiorente città, che sorgeva nelle Valli di Comacchio, fino al momento della sua scoperta era solo una leggenda. Più volte citata dalle antiche fonti ed invano cercata da Boccaccio e Petrarca, venne svelata nell'aprile del 1922 dai lavori della grande bonifica di Valle Trebba. Alla scoperta casuale seguirono sistematiche campagne di scavo fra il 1923 ed il 1935, sotto la guida del soprintendente Salvatore Aurigemma, che portarono alla luce ben 1213 sepolture. La bonifica in Valle Pega, tra il 1953 ed il 1962, permise di scoprire il settore meridionale della necropoli che, nell'arco di altri dieci anni di scavi, sotto la guida del soprintendente Paolo Enrico Arias e del direttore del Museo Nereo Alfieri, restituì quasi 3000 tombe. La città dei vivi fu individuata solo alla fine degli anni '50, con il taglio del Canale Mezzano, fra Valle Lepri e Valle Mezzano. Le campagne di scavo succedutesi fra 1957 e 1988 sono state numerose e la ripresa da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e dell'Università di Zurigo, fra il 2007 ed il 2017, ha permesso di definire con più precisione sia l'impianto urbanistico della città che le caratteristiche di alcune sue unità abitative.
Spina, come polo commerciale alla foce del Po e centro di smistamento delle merci in transito, svolse un ruolo dominante nell'Adriatico, a livello geografico, politico ed economico. Fondata dagli Etruschi intorno al 540 a.C., si distinse per il suo stile di vita profondamente ellenizzato, come si può cogliere dai meravigliosi corredi funerari recuperati nella sua necropoli.
Il piano terreno è occupato dai reperti della città dei vivi, indagata solo parzialmente. Si tratta di testimonianze poco appariscenti, ma di grande importanza storica. Nelle diverse sale, attraverso vasi greci, anfore e altri materiali, planimetrie, foto aeree e video è possibile conoscere le fasi della scoperta della città, le ipotesi ricostruttive dell'abitato (di tipica fondazione etrusca), le caratteristiche delle abitazioni, le principali attività commerciali, i culti e la realtà economica e sociale, caratterizzata dalla presenza di numerose comunità straniere legate ai commerci: Greci, ma anche Veneti e forse anche altri immigrati.
Nel Giardino di Levante, si trova l'aiuola dei segnacoli, un'area rettangolare che attraverso la ricostruzione dell'ambiente geologico e botanico del litorale deltizio, intende ricreare la suggestione di come dovevano apparire le tombe di Spina, segnalate in superficie il più delle volte da semplici ciottoli fluviali.
Tra il regno dei vivi e quello dei morti di Spina, faccio una piccola pausa ed accedo, dal loggiato meridionale del palazzo, alla Sala delle Piroghe, nelle quali sono esposte due monossili, imbarcazioni primitive realizzate da due singoli tronchi di quercia scavati. Rinvenute fortuitamente nel 1940 nelle valli a nord di Comacchio e recuperate nel 1948, sono databili all'età tardo romana (III-IV secolo d.C.) e provano l'importanza delle vie d'acqua interne che solcavano l'area deltizia fin dall'antichità. Dal 1948 le monossili sono state inserite nel percorso museale e rappresentano, per le loro inusuali dimensioni (rispettivamente mt. 14,76 e mt. 12,10) e per l'importante opera di restauro alla quale sono state sottoposte dal novembre 2008 al marzo 2010, un elemento di grande attrazione per il pubblico.
Al piano nobile si colloca l'esposizione dedicata alla necropoli di Spina. Se i reperti dell'abitato permettono di ricostruire al momento solo in parte la grande ricchezza della città, lo stesso non si può dire per quanto ritrovato nella città dei morti. L'esposizione, organizzata cronologicamente e per contesti tombali, offre una panoramica completa di tutto il periodo di utilizzo della necropoli, dal VI al III secolo a.C. I ricchi corredi, con le ceramiche a figure nere e a figure rosse, i vasi e le suppellettili in bronzo, i gioielli in oro, argento, ambra e pasta vitrea evocano una ricchezza tale da avere pochi confronti in tutta l'Italia settentrionale, oltre a rivelare una sfera rituale permeata da usanze elleniche e ad offrire preziose indicazioni sul rapporto privilegiato con Atene ed il ruolo di testa di ponte dei commerci etruschi nel Mediterraneo, anello di congiunzione tra Oriente e Occidente.
I monumentali vasi figurati realizzati nel V secolo a.C. nelle officine ceramiche ateniesi, veri e propri capolavori che giungevano a Spina insieme a un universo di miti, credenze e religiosità, sono capolavori che costituiscono oggi la più importante raccolta di quel periodo esistente al mondo.
La visita al piano nobile del museo si conclude nel grande Salone delle Carte Geografiche, affrescato al termine dei lavori di restauro degli anni Trenta, che trasformarono Palazzo Costabili nel Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. La scelta di riprodurre antiche carte geografiche a introduzione e complemento della visita ai materiali di Spina si deve proprio al primo direttore del Museo, Salvatore Aurigemma, che ha voluto fosse dedicata una particolare attenzione al territorio del delta del Po, dove fiorì l'antica Spina, e delle Valli di Comacchio, dove la bonifica degli anni venti diede il via alla scoperta della grande necropoli etrusca. Tutt'intorno, sul fregio del cornicione, fece trascrivere i versi dell'ode Alla città di Ferrara, composta da Giosué Carducci nel 1895, e sulle arcatelle del loggiato un passo di Plinio il Vecchio sulle origini mitiche di Spina.
A chiudere significativamente la visita, all'estremità del salone, si trova uno dei più straordinari vasi restituiti da Spina: il cratere del Pittore di Kleophon della tomba 57C Valle Pega, nel quale alla pacata processione sacrificale ad Apollo, si contrappone il ritorno di Efesto all'Olimpo in pieno clima dionisiaco.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: com'è possibile che una città così ricca, fiorente ed evoluta sia finita abbandonata, sommersa e dimenticata per migliaia di anni?
La risposta risiede nei mutamenti economici e ambientali che avvennero nell'antichissimo mondo che fino a quel momento aveva fatto prosperare la città. Poco dopo il 400 a.C. la Valle del Po venne invasa da popolazioni celtiche provenienti dalla Gallia e dalla Boemia. Contemporaneamente, Atene perdette la sua centralità in Grecia per via della sconfitta nella guerra del Peloponneso e nel 390 Siracusa assunse il controllo dell'Adriatico ponendo basi ad Ancona ed Andria.
L'invasione celtica spazzò via i centri etruschi padani, come Bologna e Marzabotto. Fu un grave colpo per Spina, che però sopravvisse come porto franco, dato che era strategicamente importante per i Celti, privi di tradizioni marinare. Ma la sua crescita si era arrestata per la perdita del partner ateniese, i commerci calarono e si ridussero a rapporti con la Magna Grecia e la Sicilia. Nel 200 a.C. il ramo del Po su cui sorgeva Spina si insabbiò e l'accesso al mare diventò complesso. Poi improvvisamente la città venne abbandonata, per motivi solo vagamente ipotizzabili. Segni di fuoco, proiettili di terracotta e piombo rinvenuti negli scavi dell'abitato testimoniano una fine violenta (già ricordata dallo storico Dionigi di Alicarnasso), databile alla prima metà del III secolo a.C., molto probabilmente ad opera dei Galli Boi intenzionati ad impedire che Spina diventasse un importante avamposto per i Romani nel loro processo di espansione.
Lentamente, la città scomparve sotto strati di terra, acqua ed abbandono e per secoli se ne persero le tracce.
Fino a quell'aprile del 1922, penso mentre ridiscendo lo splendido scalone rinascimentale di Palazzo Costabili, quando il ritrovamento di vasi, terrecotte e bronzi di magnifica fattura greca segnarono l'inizio di una vicenda straordinaria, che per fortuna nostra e dei nostri posteri, ancora non si è conclusa.
Vale a dire che la magnifica civiltà di Spina continuerà a raccontare la sua storia nel tempo presente, impegnando studiosi ed affascinando appassionati di archeologia ancora per molti anni a venire.
E questo è il modo più straordinario per far sì che una civiltà non muoia mai.
Bibliografia, link ed altri materiali utili alla scrittura dell'articolo:
- Sito del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
- “Il Grande Libro di Spina”
- “Terre del Reno: 2 – dai Greci a Carlomagno – videolezione a cura del Museo della Civiltà Contadina Rodolfo e Luigi Sessa di Mirabello – Relatore: Prof. Rodolfo Soncini Sessa (1 dicembre 2018) – “Spina, i ritrovamenti archeologici” e “Il Po di Adria e il Po di Spina"
- “Il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara: il Museo dell'antica Città di Spina” - guida a cura di Giorgio Cozzolino (Dirigente Direzione Regionale Musei dell'Emilia-Romagna) e Paola Desantis (Direttore Museo Archeologico Nazionale di Ferrara) – Sagep Editori, Genova (2021).