Nella località di Funo di Argelato, sulla via Funo, in un territorio rurale rimasto pressoché inalterato, vi sono ancora antiche testimonianze della Compagnia, poi Arciconfraternita, di S. Maria della Morte, che per quattro secoli ha ricoperto un ruolo di grande importanza in tutto il territorio bolognese.
Lo stemma dell'Istituzione, occupatasi della cura degli infermi, dell'assistenza dei condannati a morte e dei carcerati, è un teschio sormontato da una croce, ancora visibile sul vecchio casale che fronteggia il restaurato Palazzo della Morte, che nella nostra memoria di bambini era un luogo abbandonato e infestato da fantasmi e presenze oscure.
La fondazione, come Compagnia dei Devoti dello Spedale di S. Maria della Morte, risale al 13 luglio 1336. La sua sede si trovava nel pieno centro di Bologna ed era situata in quello che ancora oggi si chiama "Portico della Morte", in via de' Musei. Comprendeva una chiesa, l'oratorio e l'ospedale con annessa una spezieria ancora oggi esistente (Farmacia del Pavaglione).
L'ospedale viene descritto come "diviso in partimenti per li uomini, per le donne e per li feriti e retto dalla più fiorita nobiltà, caratterizzato da una divisa di sacco, o cappa, bianca con una croce nera sopra una testa di morto profilata di bianco".
L'importanza di questa confraternita si dimostrò durante l'epidemia di peste del 1350, quando il Pontefice gli affidò la cura ed il soccorso degli infetti. Contemporaneamente, cominciò l'aiuto presso i condannati a morte con l'assunzione dei compiti riguardanti la sepoltura dei cadaveri oltre al conforto del poveretto prima dell'esecuzione.
Per secoli, la Compagnia della Morte ebbe anche l'incarico di organizzare la processione della Madonna di San Luca, ospitandola nella propria sede durante le notti di permanenza in città.
Nel 1586, con breve di Papa Sisto V, la Compagnia si guadagnò il titolo di Arciconfraternita. Dagli anni 1576-77 venne concesso, ogni 29 agosto, il privilegio di liberare un condannato a morte.
Alla fine del XVIII secolo, dopo quasi 450 anni di servizio in questo particolare campo, la Compagnia si sciolse unendosi all'Ospedale della Vita (1798). La chiesa del centro venne affittata ed utilizzata come magazzino e l'ospedale venne soppresso per unirsi a quello dell'arciconfraternita sorella nel 1801. L'ultimo condannato a morte venne assistito nel 1796.
In quale modo la confraternita arrivò fino a Funo di Argelato? In tal senso, è utile una premessa: la Compagnia della Morte aveva possedimenti in tutto il territorio bolognese, anche a Corticella, Budrio, Trebbo di Reno, condivisi con L'Ospedale della Vita. L'acquisizione avvenne attraverso donazioni e lasciti che incrementarono enormemente il suo patrimonio.
Lo stesso accadde per i possedimenti di Funo di Argelato, pervenuti all'Arciconfraternita attraverso un lascito privato. Dall'elenco dello stato delle anime della Parrocchia di Funo, negli anni 1767-1810, è stata rinvenuta la testimonianza relativa ad un'eredità goduta dalla Confraternita di S. Maria della Morte (1723) da parte della famiglia Fava: "in terris hospitalis de morte, ac haereditatis d. Co. De Fabiis in Palatium da usum villici".
Delle origini del Palazzo della Morte di Funo non si sa nulla di certo. E' probabile che sia nato come casino di caccia, in quello che sicuramente un tempo era un territorio al limitare delle valli.
Esso è rappresentato per la prima volta nelle cartografie antiche nel 1742 come associato alla Compagnia della Morte, ricompare nel 1774 nella pianta delle "strade pubbliche, stradelli, sentieri, ponti e chiaviche le quali sono nel Comune di Funo" ed ancora nel Catasto Boncompagni (1777-1786), attraverso il quale si può comprendere l'ampiezza dei beni dell'Ospedale della Morte, che si estendevano fino ad Argelato, Casadio, San Giorgio di Piano.
E' ipotizzabile che tutti questi fondi fossero aziende agricole utili a fornire un ricavato che la Confraternita destinava al sostentamento delle proprie attività di assistenza ospedaliera.
Ai primi dell'Ottocento, con la fusione dell'Ospedale di Santa Maria della Morte e di Santa Maria della Vita nel cosiddetto "Grande Ospedale" (ente che prenderà poi il nome di Ospedale Maggiore), il palazzo di Funo venne utilizzato come archivio delle cartelle cliniche dei pazienti.
Nel corso del '900 il palazzo ed il fondo caddero in un progressivo degrado. Dall'Amministrazione degli Ospedali di Bologna, la proprietà passò nel 1978 al Comune di Argelato ed infine all'industria Lamborghini, che si è occupata del suo restauro e della sua trasformazione nel "Palazzo del Vignola", per quanto l'attribuzione progettuale del palazzo al celebre architetto sembra sia ancora incerta.
Ciò che è interessante constatare, penso mentre mi incammino sulla via Funo, è che la presenza della Compagnia della Morte nelle campagne bolognesi ha alimentato per secoli un insieme di leggende popolari che hanno lasciato profondi segni nel territorio funese e nell'immaginario collettivo. Probabilmente troppo radicati perché una riqualificazione, pur se mirabile, possa spazzarli via.
Bibliografia, link ed altri materiali utili alla scrittura dell'articolo:
- "Castel Maggiore. Com'era... e com'è" di Lorenzino Cremonini – Alinea Editrice (1988) – Pagg. 337/338.
- "Antiche ville e palazzi della campagna di Argelato" di Lorenzino Cremonini e Piero Ruggeri – Società Editrice Esculapio (1992) – Pagg. 118/142 (Palazzo della Morte).
- "Notizie sulla farmacia dell'Ospedale di Santa Maria della Morte di Bologna, oggi Farmacia del Pavaglione" – Tesi a cura di Enrico Cevolani pubblicata sul portale academia.edu.
- "Via della Morte e la sua leggenda" – Articolo di Leonardo Arrighi pubblicato su BudrioNext (18 luglio 2017)
- Per consultare gli splendidi manoscritti delle Confraternite di Santa Maria della Vita e di Santa Maria della Morte, vi invito a visitare l'apposita sezione dedicata sulla Biblioteca Digitale dell'Archiginnasio di Bologna.