"Sarà mica a grandezza naturale quell'insetto?". Ci troviamo nel Museo di Ecologia "Mirco Bravaccini" di Meldola, in provincia di Forlì e sto fissando già da un bel po' il modello a grande scala di un cervo volante appeso al soffitto.
La mia domanda così spontanea scatena una risata in tutti i presenti, ma fortunatamente vengo rassicurata.
Questo museo è nato con lo scopo di svolgere attività educativa per cittadini e studenti, attraverso la divulgazione della cultura ambientale, la ricerca, la salvaguardia e la valorizzazione delle biodiversità. Qui sono conservati reperti e dati naturalisti riferiti in particolare alla Riserva Naturale del Bosco di Scardavilla.
Perché, vi domanderete, fare un'introduzione tanto ambientale, invece che cominciare da subito a descrivere un altro luogo abbandonato?
Perché è impossibile separare il Monastero di Scardavilla, la nostra meta escursionistica, dal bosco che lo circonda. Perché il motivo della sua costruzione è strettamente legato alla sua cura e preservazione. Quindi, il museo è la premessa necessaria per quanti vogliamo visitare questo luogo.
Siamo ad ottobre ed arriviamo nell'area della riserva naturale nel momento in cui l'uva è in piena crescita. Non mi addentravo in un vigneto così grande da quando ero bambina. Ma qui la campagna, con le sue lievi colline, è ancora più dolce e poetica. La natura attorno a noi sta lentamente cambiando i suoi colori. C'è ancora caldo, ma l'aria è finalmente libera dall'afa dell'estate passata. C'è silenzio e pace, quella che si respira in un luogo dominato dalla natura.
Di questo territorio si parla già dal 1225 quale dipendenza del convento di Santa Maria di Vincareto a Bertinoro. E' distinto in Scardavilla di sotto e Scardavilla di sopra per la presenza in loco di due antiche strutture. Il piccolo Monastero di S. Maria di Scardavilla, a Scardavilla di sotto, viene citato in un documento del 1241, dal quale si ricava che i monaci, oltre alla preghiera, si occupavano della coltivazione dei campi e dell'allevamento del bestiame.
Nel XVI secolo il monastero passò alle dipendenze dei monaci camaldolesi, che fondavano la loro regola sulla base del governo delle celebri foreste del Casentino.
La regola diceva essenzialmente che l'ordine insediato all'interno di monasteri ed eremi tra boschi e foreste, aveva l'obbligo di curare e proteggere l'ambiente naturale circostante. Grazie a questa regola, i boschi di Scardavilla si sono mantenuti intatti per secoli.
Nel XVII secolo i monaci avvertirono la necessità di costruire un nuovo eremo sul boscoso colle del Monte Lipone.
I lavori, cominciati nel 1684 e terminati nel 1733, resero all'ordine una pregevole chiesa in stile barocco circondata da dodici celle per gli eremiti ed un grande palazzo a due piani, attorno ai quali si trovavano i campi ed un querceto secolare. Il tutto era protetto da una cinta muraria estesa quasi due chilometri. I complessi di Scardavilla di sopra e di Scardavilla di Sotto erano poi congiunti da un ampio viale.
Nel 1797, con l'avvento di Napoleone, i monaci furono costretti ad abbandonare questo luogo, che avevano curato per più di duecento anni. Il bosco ed i due complessi religiosi passarono in mano a privati e cominciarono a degradarsi. L'area, nel giro di un secolo e mezzo, venne inesorabilmente deforestata abbattendo, speso in modo abusivo, un gran numero di alberi imponenti. Come se non bastasse, il terremoto del 1870 distrusse buona parte della chiesa e di Scardavilla di sotto.
Per tutto il '900 questo territorio venne privato gradualmente della sua identità religiosa e ambientale.
Oggi l'area protetta si estende su una superficie di 36 ettari e dal 1991, con l'istituzione della Riserva Naturale gestita dal museo di Meldola, è finalmente al sicuro da ulteriori abusi ambientali.
Il piccolo eremo di Scardavilla di Sotto è stato ristrutturato secondo l'originale aspetto quattrocentesco e fortunatamente convertito ad altri usi. Ma quello che resta del Monastero di Scardavilla di sopra è solo un pallido ricordo dei bei tempi che furono. Delle dodici cellette tipiche dell'impianto insediativo camaldolese non è rimasta traccia, la chiesa del Santissimo Crocefisso, il cui tetto è crollato da tempo, è ormai invasa da una fitta ed indomabile vegetazione, il vecchio campanile si erge ancora svettando tra gli alberi, ma il suo equilibrio è instabile.
Prima o poi, senza quegli interventi di recupero di cui si è parlato tanto nel corso degli ultimi anni (e sempre rinviati o rimpallati tra la proprietà e la regione), tutto ciò che è rimasto del complesso crollerà definitivamente.
Alzo lo sguardo al cielo, verso quanto è rimasto delle grandi volte nella chiesa. La luce trova libero passaggio ovunque, illuminando una vecchia croce di legno ed alcune colonne coperte dall'edera, per poi rivelare la bellezza dei numerosi elementi decorativi che celebrano la natura e le sue forme di vita.
E ad un certo punto mi dico che in questo luogo abbandonato dall'uomo, la presenza divina è ancora palpabile e la natura stessa ne è una prova inconfutabile.
E' con questa consapevolezza che ci allontaniamo dal Monastero di Scardavilla in silenzio, ripercorrendo il nostro percorso tra le vigne ed i boschi, mentre un vento leggero accompagna i nostri pensieri.
Link e materiali utili alla scrittura dell'articolo:
- "La Rete Natura 2000 della Romagna" – pubblicazione coordinata dalla Regione Emilia-Romagna, a cura di Enzo Valbonesi, Francesco Besio, Stefania Vecchio, Maria Carla Cera (2017)
- Riserva di Scardavilla, un'antica testimonianza – Interessante reportage di Alessio Di Leo.
- Eremo di Scardavilla – a cura del Comune di Meldola
Le immagini della nostra visita in loco si trovano nell'album: "Urbex - Monastero di Scardavilla"