Siamo catapultati indietro nel tempo, nella Ferrara di fine Cinquecento, tra pietre, corti e voci che sembrano ancora riecheggiare sotto i portici. Il nostro viaggio ha un filo conduttore preciso: le donne, pedine o protagoniste nei complessi giochi di potere della dinastia estense. Un percorso che culminerà nella Palazzina di Marfisa d’Este, appena restituita alla città dopo un attento restauro, e che ci conduce nel cuore più fragile e affascinante del potere.

Marfisa d'Este e il suo tempoIl Castello di Ferrara, ormai trasformato da fortezza a elegante Palazzo Ducale, è il palcoscenico su cui Alfonso II d’Este tenta, invano, di assicurare una discendenza alla sua casata. Tre matrimoni, nessun erede. Non lo sa ancora, ma sarà l’ultimo duca estense a governare su Ferrara.

Alfonso II d'EsteLucrezia de’ Medici arriva a Ferrara nel febbraio 1560, ma vive isolata nella sua corte così com'era stato a Firenze e muore l’anno dopo di tisi. Barbara d’Asburgo, seconda moglie, giunge nel 1565. Devota, generosa, amata da sudditi e artisti, vive con grazia e fermezza anche negli anni difficili dei terremoti che scuotono la città. È costretta a trasferirsi in una tendopoli fuori dal Castello, e lì la malattia la consuma, fino alla morte nel 1572. Poi arriva Margherita Gonzaga, quindicenne, fine intenditrice d’arte e promotrice del balletto e del concerto delle donne. Amata, vivace, intelligente, ma anch’essa incapace di dare eredi ad Alfonso II. Del resto, le cronache sussurrano ciò che non si poteva dire ad alta voce: Alfonso non avrebbe potuto averne, né legittimi né illegittimi.

Non c'è da stupirsi se le prime due mogli muoiono di tubercolosi. I matrimoni celebrati solitamente a ridosso del carnevale, nel pieno dei mesi più rigidi, e le scosse di terremoto del 1570-1574 costringono la corte a precarietà e freddo. La vita sotto i padiglioni esterni, l’umidità e la paura non risparmiano nessuno, nemmeno una sposa reale.

Palazzo Magnanini-Roverella, FerraraIl nostro itinerario si arricchisce di una tappa eccezionale: Palazzo Magnanini-Roverella, in Corso Giovecca. Costruito nel 1508, si distingue per i fregi in terracotta e le eleganti forme rossettiane. È qui che tra il 1549 e il 1552 soggiorna Gracia Nasi, una delle più potenti finanziere del Rinascimento. Ebrea costretta alla conversione, vedova e immensamente ricca, a Ferrara ritrova il coraggio di tornare alla sua fede e di sostenere i correligionari dispersi in Europa, pubblicando testi sacri in spagnolo e offrendo rifugio e dignità a intere famiglie perseguitate. Donna brillante, astuta e consapevole della propria forza, conclude i suoi giorni in Turchia nel 1570, venerata come “la Señora”.

Gracia Nasi, Beatrice De LunaSi prosegue verso il Parco Pareschi. All’epoca degli Este è un giardino privato composto da alberi da frutto e orti, poi trasformato nell’Ottocento in giardino all’inglese. Qui si intrecciano foglie e memorie, ed è il luogo perfetto per evocare un’altra donna dal destino complesso: Renata di Francia. Madre di Alfonso II, protettrice delle idee protestanti, al punto da rifiutare la messa di corte e l’educazione cattolica delle sue figlie. Nel 1554 viene accusata di eresia, costretta ad abiurare e confinata in una "prigione dorata", del quale possiamo osservare il retro dall'interno del parco. Alla morte del marito Enrico II torna in Francia, nel suo castello di Montargis, e lì continua a sostenere la Riforma. Muore nel 1575, e il luogo della sua sepoltura è ancora un segreto, inviolato dai fanatici.

Palazzo di Renata di Francia - vista da Parco Pareschi, FerraraAlfonso II eredita una città scossa dai terremoti, una madre considerata eretica e l’ombra del fallimento dinastico. Deve mostrarsi esempio di fede e potere cattolico. Eppure, nel 1590, fa costruire la Cappella Ducale — fino a poco tempo fa chiamata “di Renata di Francia” — le cui pareti, interamente rivestite di marmi preziosi, sono prive di immagini sacre. Un dettaglio che ricorda da vicino l’austerità calvinista della madre, quasi un omaggio silenzioso a ciò che pubblicamente doveva condannare. 

Renata di FranciaLasciato il parco, ci dirigiamo finalmente verso la dimora di Marfisa d’Este, al civico 170 di Corso Giovecca. Più ci avviciniamo, più nasce il sospetto che, in quegli anni, fosse meglio essere chiunque tranne un duca.

Cappella Ducale del Castello Estense, nota anche come Cappella di Renata di FranciaLa Palazzina ha origine dall’amore di Francesco d’Este, zio di Alfonso II, per le sue figlie. Acquistato il Palazzo Bonacossi, fa erigere tra il 1556 e il 1560 un edificio elegante da dedicare a Marfisa e Bradamante. Nei ritratti della Loggetta si avverte tutto il suo affetto, quasi un rimpianto verso quella discendenza priva di potere ma piena di autonomia. Dopo la morte di Francesco, Marfisa eredita l’edificio e lo trasforma in un centro vitale di cultura: qui si riuniscono musicisti, poeti, pittori. Lei stessa, descritta da Tasso come “di pensier non crudo”, è protagonista di spettacoli audaci, balli di corte, performance in abiti maschili, decisa a vivere secondo le proprie regole.

Mrfisa d'EsteIl suo primo matrimonio, a quattordici anni, le porta un patrimonio considerevole. Il secondo, con AlderanoCybo-Malaspina, la lega alle corti di Massa e Carrara, assicurandole stabilità e otto figli. Quando, nel 1598, il ducato viene devoluto al Papato, Marfisa rifiuta di seguire la famiglia a Modena: rimane nella sua Ferrara, fedele alle sue radici e protetta dall’influenza dei Malaspina sulla Chiesa.

Palazzina di Marfisa d'Este, FerraraDopo la morte del marito nel 1606, si ritira dalla vita pubblica. Il silenzio che avvolge gli ultimi suoi anni genera leggende: pozzi a rasoio nascosti, giovani sedotti e uccisi, un cocchio dalle ruote infuocate che nella nebbia d’inverno sfreccia tra le vie del centro, inseguito dagli scheletri dei suoi amanti. Fantasie, certo. Di pozzi non se ne è mai trovata traccia. Ma qualcosa resta: con la sua morte, nel 1608, si spegne definitivamente il ramo ferrarese degli Este e la Palazzina inizia a decadere.

Per secoli subisce divisioni, usi impropri, incendi. Solo dal 1861, con l’acquisto del Comune, comincia la rinascita, guidata dall’associazione Ferrariae Decus e da artisti come Mazzolani, Pagliarini e Giberti. Nel 1937-38, la Palazzina viene trasformata in luogo di rappresentanza cittadina: Carlo Savonuzzi cura il restauro architettonico, Nino Barbantini ne ricostruisce l’anima con arredi e oggetti d’epoca, restituendole il respiro del Rinascimento.

Nella Loggia degli Aranci, il soffitto si apre in un finto cielo tra tralci di vite, uccellini e scimmiette danzanti. Nella sala adiacente, putti musicanti ricordano le note e le voci che un tempo risuonavano qui, negli spettacoli organizzati da Marfisa.

Loggia degli Aranci, Palazzina di Marfisa d'Este, FerraraOggi, attraversando queste sale finalmente restaurate, sembra ancora di sentire il fruscio delle gonne, il mormorio dei versi declamati, i passi leggeri di una donna che la storia ha voluto forte, libera, eppure sospesa. La Palazzina non è solo memoria del potere estense, ma omaggio a Lei, “piena di virtù nell’anima” che forse, nelle sere di nebbia, cammina ancora tra queste stanze… sospesa fra il passato e il futuro.

 

Fonti utilizzate: 

Genziana Ricci
Sono Genziana Ricci, una blogger curiosa e da sempre appassionata di storia, cultura e arte. Ho creato questo blog per condividere con i lettori piccole e grandi storie del territorio di pianura bolognese, ferrarese e modenese. Credo profondamente nel valore del confronto e della divulgazione di conoscenze legate alla nostra storia, alle tradizioni e alla cultura del territorio, perché sono parte della nostra identità e possono offrire alle nuove generazioni insegnamento e arricchimento. Del resto, la storia ha bisogno di camminare sempre su nuove gambe.

 

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