C'è qualcosa di profondamente affascinante nel modo in cui un'immagine sacra possa attraversare i secoli, sopravvivere a incendi, guerre e trasformazioni urbane, diventando il simbolo stesso di una comunità. È questa la storia del Santissimo Crocefisso di Castel Guelfo di Bologna, un racconto che inizia nelle campagne bolognesi del Duecento e arriva fino ai giorni nostri, intrecciando miracoli, nobili famiglie e una devozione popolare che non conosce interruzioni.
La vicenda prende avvio a Castel San Polo, uno dei principali insediamenti fortificati della zona, edificato dal Libero Comune di Bologna intorno al 1218 nella località oggi chiamata "Picchio". Era un castello tipico dell'epoca: palancato quadrangolare, terrapieno, fossato e una chiesa dedicata a San Paolo. Ed è proprio in questa chiesa, vicino all'altare maggiore, che si trovava un Crocefisso che "faceva miracoli", come testimoniano i documenti storici.
Nel 1305 un devastante incendio distrusse completamente il castello. Trentasei famiglie persero tutto, cinquanta uomini abili alle armi rimasero senza casa. Il cronista Cherubino Ghiradacci, vissuto nel tardo Cinquecento, descrive la drammaticità di quell'evento che segnò la fine di Castel San Polo come comunità autonoma. Ma in mezzo a tanta distruzione, una tradizione racconta che il Crocefisso fu miracolosamente salvato dalle fiamme e trasportato a Castel Guelfo nel 1309, proprio quando i Malvezzi stavano consolidando il loro potere sulla zona.
Ed è qui che la storia si fa ancora più intrigante. I Malvezzi, divenuti Conti di Castel Guelfo nel 1458, fecero costruire un grande palazzo nel 1464, ma non vi realizzarono mai un oratorio privato come era consuetudine nobiliare dell'epoca. Perché? Probabilmente perché utilizzavano quello già costruito a ridosso delle mura sud, dove avevano collocato la venerata immagine salvata dall'incendio. Un piccolo oratorio, essenziale, che probabilmente veniva aperto al popolo solo in occasioni straordinarie: pestilenze, calamità naturali, momenti di disperazione collettiva.
Le prime testimonianze documentate dell'esistenza di questo oratorio risalgono al 1625-1626, anni in cui una terribile peste colpì Castel Guelfo. Fu in quei momenti drammatici che i castellani si rivolsero con pubbliche preghiere e processioni di penitenza al loro Crocefisso protettore. Ma il vero punto di svolta arriva un secolo dopo.
Nel 1720, Piriteo III Malvezzi e sua moglie Artemisia Magnani decisero di ricostruire completamente l'oratorio, ormai collabente, in una forma più ampia e decorosa. E qui c'è un dettaglio che potrebbe sorprendere: secondo Don Armando Nascetti, fu proprio in quell'anno che venne collocata l'immagine del Crocefisso che si venera ancora oggi, sostituendo quella più antica proveniente da San Polo. L'antico crocefisso duecentesco, poco realistico per i canoni barocchi, fu sostituito con uno modellato secondo lo stile più moderno dell'epoca.
Il nuovo oratorio venne inaugurato con grande solennità e arricchito di una reliquia del Sacro Legno. Fu istituita anche una Congregazione di trentatré uomini e trentatré donne, in memoria degli anni di Cristo, approvata dall'Arcivescovo di Bologna e decorata di indulgenze pontificie. Per celebrare il nuovo allestimento, i Malvezzi commissionarono una splendida incisione su rame a Giuseppe Foschi, attivo a Bologna tra il 1743 e il 1778, per stampare e distribuire ai fedeli l'immagine del nuovo Crocefisso.
Ma arriviamo al 1883, anno cruciale che segna una svolta drammatica. Le autorità pubbliche decisero di aprire una seconda porta nel castello, demolendo parte delle mura meridionali. L'oratorio, posto proprio a ridosso di quelle mura, rappresentava un ostacolo alla modernizzazione del paese. La decisione non fu facile né unanime. Ma prevalse una visione pragmatica: l'oratorio era angusto, spesso chiuso, i suoi fianchi laterali venivano usati come latrina pubblica, e sotto il pavimento scorreva addirittura una fogna. Non proprio la collocazione ideale per una sacra immagine.
Il 27 maggio 1883, con una solennità che il giornale "L'Unione" di Bologna descrisse minuziosamente, l'Arcivescovo Battaglini presiedette la traslazione del Crocefisso dall'oratorio alla Chiesa Parrocchiale. Fu la Principessa Agnese Hercolani, consorte di Cesare, a finanziare il nuovo magnifico altare in marmo pregiato, opera del marmista Canessa, per un costo di 2.528 lire, una somma considerevole per l'epoca. Il giorno dopo, mentre le campane suonavano a festa e la banda eseguiva liete melodie, la stessa Principessa Agnese, con un martello inargentato, diede il primo colpo al muro dell'oratorio destinato alla demolizione. L'apertura che ne risultò venne chiamata Porta Agnese, in suo onore.
Nella nuova collocazione, il Crocefisso venne posto in una nicchia e coperto da una tela dipinta da Luigi Rossi, che raffigura il legno della Santa Croce con i simboli della Passione. La mancata visibilità rendeva ancora più preziosa la venerata immagine, che veniva scoperta solo su richiesta di persone che chiedevano una grazia speciale per un proprio caro gravemente malato. Cinque tocchi della campana "grossa" annunciavano lo scoprimento, e chi entrava in chiesa capiva che qualcuno era in pericolo e poteva unirsi alla preghiera.
Ma è nella "Festa Bella" che la devozione al Crocefisso trova la sua espressione più completa. Il nome stesso dell'evento sottolinea non solo l'importanza religiosa ma anche il fatto che in questa occasione tutto il paese si fa "bello", con addobbi e luminarie. Non sappiamo quando iniziò questa celebrazione quinquennale, ma una memoria nell'Archivio Parrocchiale riferisce che nel Seicento, quando i fossati del castello erano ancora pieni d'acqua, c'era l'usanza di porre il Crocefisso su una chiatta e farlo girare intorno alle mura, mentre la popolazione assisteva dagli spalti, un rito simbolico di protezione del castello.
La prima festa documentata risale al 17 aprile 1840. Il rendiconto di quell'anno è un documento affascinante: tra le entrate figurano offerte in denaro ma anche in natura, come "ova e filo". Tra le spese spiccano 1000 stampe del Crocefisso riprodotte con la lastra di rame, 1600 bicchierini per l'illuminazione e olio di lino. Già, perché l'illuminazione era uno degli aspetti più spettacolari della festa. I bicchierini di vetro, riempiti di olio con relativi stoppini, andavano accesi uno a uno con cerini, un lavoro che richiedeva numerosi volontari.
La Festa Bella del 1900 merita una menzione particolare. Si celebrò il 12 agosto in occasione della Visita Pastorale del Cardinal Svampa, ma due giorni prima il Sindaco ricevette un telegramma dal Delegato di Polizia che chiedeva di desistere dall'illuminazione e dai fuochi d'artificio a causa del lutto nazionale di tre mesi per l'assassinio del Re Umberto I, avvenuto il 29 luglio. Un dettaglio che ci ricorda come la storia nazionale si intrecciasse con quella locale, anche nelle celebrazioni più intime.
Nel 1925, dopo quindici anni di attesa dovuti alla guerra e al difficile dopoguerra, la Festa Bella tornò in grande stile con una novità rivoluzionaria: l'illuminazione elettrica, che costò 2.477 lire. La cabina elettrica era stata inaugurata a Castel Guelfo solo alla fine del 1924, e la festa fu l'occasione perfetta per mostrare le meraviglie della modernità.
Ma non mancarono anche anni bui. Nel 1935, a causa della guerra d'Etiopia, la festa non ebbe manifestazioni esteriori, assumendo un carattere "prettamente religioso". E poi il lungo silenzio del 1940 e 1945, quando la guerra imperversava, e il 1951, quando finalmente, dopo ventuno anni, la Festa Bella tornò a celebrarsi, nonostante la chiesa fosse ancora in parte sinistrata dalla guerra.
Tra le edizioni più recenti, quella del 1980 custodisce una curiosità affascinante: nel programma si annunciava che in una sera di ottobre sarebbe stata rappresentata nella Chiesa Parrocchiale "La bottega dell'orefice", commedia scritta da Karol Wojtyla, divenuto Papa Giovanni Paolo II nel 1978. Un piccolo borgo dell'Emilia che mette in scena un testo del Papa polacco: la dimostrazione di come la tradizione sappia dialogare con la contemporaneità.
Nel 1990 venne effettuato un importante restauro: il Crocefisso, la croce dorata, lo zoccolo e la tela dell'altare furono completamente restaurati per una spesa di 13.500.000 lire. Il venerdì 21 settembre il Crocefisso ritornò e venne accolto alla Chiesa della Madonna della Pioppa, per essere poi portato con solenne processione alla Chiesa Parrocchiale.
L'edizione del 2021, è stata rimandata di un anno a causa della pandemia di Covid-19. La processione si svolse nel pomeriggio alle 16.00 anziché alla sera, rispettando le norme sanitarie ancora in vigore.
Oggi, a distanza di oltre sette secoli dalla salvezza miracolosa dalle fiamme di Castel San Polo, il Santissimo Crocefisso continua a essere il cuore spirituale di Castel Guelfo. La gente si rivolge ancora a lui non per chiedere una grazia generica, ma per ottenere la possibilità che il proprio congiunto malato possa ristabilirsi. Una devozione concreta, antica, che parla di una fede radicata nella vita quotidiana, nelle paure e nelle speranze di generazioni di castellani.
La Festa Bella del 2025 ha scritto un nuovo capitolo di questa straordinaria storia. Mentre le luci si accendevano e la processione attraversava le vie del borgo, viene da pensare che forse il vero miracolo non stia solo nelle grazie concesse, ma nella capacità di una piccola comunità di custodire la propria memoria, di tramandare la propria identità, di fare di un'immagine sacra il filo che unisce passato e presente. Perché in fondo, come diceva Don Attilio Tinarelli, parroco amato che guidò Castel Guelfo per decenni, il Crocefisso non è solo un'immagine da venerare, ma un compagno silenzioso nei momenti più difficili della vita, quello a cui ci si rivolge quando le parole non bastano più e resta solo la speranza.
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