Dinanzi all’antico cimitero ebraico di Ferrara si è già formato un piccolo gruppo di visitatori. Sul monumentale ingresso in cemento, progettato nel 1911 da Ciro Contini, spicca la scritta “Bet mo‘ed le-khol chay”, “dimora assegnata a ogni vivente”. Un’espressione di profonda spiritualità: il cimitero come luogo dove ogni vita trova infine il suo posto.

Ghetto ebraico di FerraraÈ proprio da questo “luogo finale” che inizia il nostro percorso attraverso i luoghi simbolo della Ferrara ebraica. Il cimitero di via delle Vigne, fondato nel 1626 grazie a un permesso di Papa Urbano VIII, è il più antico ancora in uso in Emilia-Romagna. Camminando tra le lapidi, il tempo sembra essersi fermato. Giorgio Bassani ne colse più volte il fascino nei suoi romanzi, consacrando alla memoria della città monumenti come quello della famiglia Finzi-Magrini, che ispirò Il Giardino dei Finzi-Contini.

Cimitero ebraico di FerraraAnche Bassani riposa qui, sotto un sepolcro progettato da Arnaldo Pomodoro e Piero Sartogo nel 2003, davanti al quale i figli hanno piantato alcune rose. Sulla tomba, come vuole la tradizione, sono posati piccoli sassi bianchi: gesto antico che rimanda al tempo in cui gli ebrei segnavano così i luoghi di sepoltura durante i viaggi nel deserto. In ebraico, la parola éven significa “pietra” e simboleggia il legame tra generazioni, la continuità della memoria.

Cimitero ebraico di FerraraAnticamente noto come “Orto degli ebrei”, Bassani descrisse il cimitero come “una vasta superficie erbosa, così ampia che le lapidi, raccolte in gruppi separati, appaiono assai meno numerose di quanto non siano”. La zona centrale, apparentemente vuota, nasconde forse le sepolture più antiche, risalenti al Seicento e Settecento, in parte distrutte o violate durante l’Inquisizione. Alcuni marmi funerari furono persino riutilizzati per la colonna della statua di Borso d’Este, davanti al Palazzo Municipale.

 

Nel credo ebraico, la tomba è inviolabile, appartiene al defunto per l’eternità. È per questo che, tra incertezze e rispetto, alcune aree del cimitero non vengono più usate, dando al luogo un aspetto raccolto e meditativo. Tra le lapidi si alternano iscrizioni in ebraico e in italiano: quella di Cesare Minerbi, nonno di Bassani e primario dell’Ospedale Civico di Ferrara per quarant’anni, reca un’epigrafe scritta dal nipote. Accanto a lui riposa il figlio Giacomo, ma non la moglie Emma, cattolica, sepolta alla Certosa di Ferrara. 

Alcune lapidi riportano contemporaneamente date del calendario gregoriano e di quello ebraico. Quella di una bambina nata il 4 luglio 1930 e morta lo stesso giorno, l'8 Tamuz 5690: un piccolo segno di doppia appartenenza che commuove più di ogni parola.

Ci lasciamo alle spalle il silenzio del cimitero e torniamo al presente, con addosso una sensazione sospesa. “Ebraico” è un termine che spesso evoca solo tragedia, eppure nella storia di Ferrara racconta anche integrazione, cultura e scambio.

Sinagoghe di FerraraSotto la Casa d’Este, in particolare con i duchi Ercole I ed Ercole II, la comunità ebraica trovò accoglienza e prosperità. Dopo l’espulsione del 1492 dalle proprie terre, Ferrara aprì le porte agli ebrei spagnoli e portoghesi, profughi ma anche mercanti, medici e studiosi che contribuirono alla vita economica e culturale della città.

Con la fine del dominio estense nel 1598, però, la situazione cambiò. Nel 1627 fu istituito il ghetto, tra le attuali vie Mazzini, San Romano, Vittoria e Vignatagliata. Via Mazzini, dove ora ci dirigiamo, era allora il cuore del commercio ebraico, sul quale si affacciavano le botteghe e le attività degli ebrei ferraresi. Le case si affacciano ancora oggi con vetrine continue sulla strada, formando un’unica lunga facciata, ma all’interno rivelano cortili nascosti e passaggi segreti, invisibili dalla strada principale: un mondo nascosto dentro un altro mondo.

Al civico 95 si trovano le Sinagoghe. Nulla, dall’esterno, lascia intuire la loro presenza: l’edificio appare come una normale abitazione, ma all’interno ospita tre sinagoghe, disposte una per piano — un unicum in Italia.
Fondate grazie al lascito del banchiere romano Ser Samuel Melli, oggi sono attive la Scola tedesca, usata per le cerimonie più solenni, e l’Oratorio Fanese, più piccolo, destinato ai riti del sabato. La terza, la Scola italiana, ospita eventi culturali.

 

Pietre d'Inciampo, FerraraBassani ne descrisse l’atmosfera con parole meravigliose: “...ampia, gremita di popolo misto, echeggiante di suoni d’organo e di canti come una chiesa – e così alta, sui tetti, che in certe sere di maggio, coi finestroni spalancati al tramonto, ci si trovava immersi in una specie di nebbia d’oro”.

Le cinque porte del ghetto si aprivano all’alba e si chiudevano al tramonto, manovrate da custodi cristiani pagati dagli ebrei. Una di queste chiavi, quella del “Portone di Santa Margherita”, è stata recentemente esposta nella mostra Oltre il ghetto. Dentro & Fuori al MEIS di Ferrara.

Durante le persecuzioni fasciste e naziste, le sinagoghe furono devastate. Nel 1941 i fascisti locali sfondarono le porte della Scola Fanese e della Scola tedesca, distruggendo marmi e arredi. Tra il 1943 e il 1944, la Scola italiana venne usata dai nazisti come luogo di raccolta per gli ebrei arrestati, poi deportati ad Auschwitz.
Oggi, due lapidi sulla facciata ricordano i nomi dei ferraresi che non fecero ritorno, mentre sul selciato, davanti alle loro case, le Pietre d’Inciampo posate nel gennaio 2025 restituiscono una voce alla loro assenza. Ogni nome inciso è una piccola vittoria contro l’oblio.

Sinagoga spagnola, FerraraProseguiamo in via Vittoria, una strada antica e affascinante dove ancora gli echi del passato risuonano tra i tetti e i muri delle case. Al civico 41 una lapide ricorda la Sinagoga spagnola, costruita nel 1492 dagli ebrei sefarditi accolti da Ercole I d’Este come “nazione distinta”. Distrutta nel 1944, se ne conservano solo le fotografie: pareti ornate con motivi di festoni di rami e fiori e antichi arredi religiosi, alcuni dei quali sono oggi custoditi a Livorno, nell’Oratorio Lampronti.

Scuola ebraica, FerraraProseguendo tra i ciottoli di via Vignatagliata, si ha la sensazione di camminare nella memoria. La strada, antica e silenziosa, conduce al civico 79, dove una lapide ricorda la storica sede della Scuola ebraica di Ferrara. Già dalla metà dell’Ottocento, nei locali dell’edificio quattrocentesco, si trovavano l’asilo e la scuola elementare della comunità. Dopo il 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, l’istituto divenne anche sede della scuola media, del ginnasio e del liceo per gli studenti ebrei espulsi dagli istituti cittadini.All’epoca, il corpo docente delle scuole pubbliche e dell’Università di Ferrara era in gran parte composto da insegnanti ebrei: non per caso, ma perché la comunità ebraica rappresentava da sempre un centro di altissimo livello culturale. Tutto questo, dopo il 1938, venne cancellato. La separazione tra ebrei e cristiani investì ogni ambito della vita quotidiana, e l’istruzione fu tra i primi a subirne le conseguenze.Giorgio Bassani ricordò con profondo dolore il momento in cui venne cacciato dalla Biblioteca Ariostea, e ne lasciò traccia in uno dei suoi romanzi:
“...Ma il signorino Bruno Lattes non era nelle sue condizioni. Quantunque anche lui, come israelita, la Biblioteca Comunale non potesse più frequentarla, ciò nondimeno insegnava già nella scuola media israelitica di via Vignatagliata, e dunque poteva considerarsi ormai un professore.”

Lapide sulla scuola ebraica di FerraraFinché la scuola rimase aperta, Bassani e gli altri insegnanti, nonostante le difficoltà e le interferenze del regime, riuscirono a creare per bambini e ragazzi un ambiente in cui continuare a studiare e a discutere liberamente, cosa impensabile nelle scuole fasciste.

Le lezioni si interruppero nel 1943, dopo l’arresto di alcuni docenti, tra cui Giorgio Bassani, Matilde Bassani e Primo Lampronti. Nell’anno scolastico 1943-44 i corsi non poterono nemmeno iniziare: in novembre, il presidente della comunità Felice Bassani comunicò al provveditore che, a causa dello “sfollamento” di gran parte di alunni e insegnanti, la scuola non poteva riaprire. Dietro quella parola si celava l’inizio delle deportazioni.

Concludiamo la visita in silenzio, consapevoli che quella che abbiamo attraversato è solo una parte di una storia immensa. Una storia fatta di dolore, ma anche di resilienza, cultura e memoria.
Ferrara conserva ancora, tra le sue pietre, il respiro di una comunità che ha saputo dare alla città molto più di quanto le sia stato restituito.
E mentre ci allontaniamo, il vento che passa tra le vie del ghetto sembra ricordarcelo piano: la memoria non è un peso, ma un modo di restare.

 

Fonti utilizzate:

 

Genziana Ricci
Sono Genziana Ricci, una blogger curiosa e da sempre appassionata di storia, cultura e arte. Ho creato questo blog per condividere con i lettori piccole e grandi storie del territorio di pianura bolognese, ferrarese e modenese. Credo profondamente nel valore del confronto e della divulgazione di conoscenze legate alla nostra storia, alle tradizioni e alla cultura del territorio, perché sono parte della nostra identità e possono offrire alle nuove generazioni insegnamento e arricchimento. Del resto, la storia ha bisogno di camminare sempre su nuove gambe.

 

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