Alcune storie ci insegnano che possiamo chiamare casa un luogo nel quale lasciamo il nostro cuore, un posto al quale sono legati ricordi, relazioni importanti, sacrifici. Anche se non ci abitiamo più. E quando questo sparisce, perché il tempo o l'uomo la spazzano via, è come se venisse a mancare una parte di noi stessi. La storia del borgo del Savignano di Argelato è uno di quei racconti.
E' Giacomo Pesci, nato e cresciuto in questo luogo dagli anni '30, a descrivermelo come nessuna mappa, perizia, documento potrebbero fare meglio.
Il borgo del Savignano sorgeva nel territorio in cui oggi si trova l'oratorio dedicato alla Natività di Maria Vergine, a un chilometro e mezzo da Malacappa, circondato dagli argini del fiume Reno e da una natura praticamente incontaminata.
Era costituito da poche costruzioni, strettamente connesse le une alle altre: il palazzo padronale, il suddetto oratorio, un fabbricato abitato anticamente dalla servitù padronale e nel secondo dopoguerra da braccianti e contadini, un edificio adibito alla posta dei cavalli dove si trovavano le botteghe di fabbro (Pesci) e falegname (Bonzagni).
Il palazzo padronale era un grande edificio di tre piani, attraversati centralmente da un corridoio voltato: al piano terra si trovavano la scuderia ed un'ampia cucina; al primo piano, al quale si accedeva attraverso un ampio scalone, si trovavano le stanze padronali; al secondo piano, più basso, si trovava il granaio. Dell'area padronale, viene ricordata in particolare la camera del padrone: è descritta come una grande stanza di forma circolare con il soffitto a cupola, con diverse nicchie a muro ed una grande tavola rotonda al centro.
Nel granaio era presente una curiosa iscrizione sull'intonaco vicino al soffitto: “Innocenzo Bertocchi di Giampaolo, nativo di Budrio, fece riattare questo casino in età di anni 34 nell'anno 1819. Acquistò questa tenuta dalla casa Scapinelli di Reggio. Abitava questo casino nelli mesi di estate per attendere a queste anime buggiarone de' pigionanti coi quali si lavora i fondi”. L'iscrizione ci fornisce indicazioni su quelli che erano i passaggi di proprietà. Gli Scapinelli erano una ricca famiglia nobile seicentesca originaria di Reggio Emilia. Non è certo se siano stati loro ad erigere il palazzo con gli edifici adiacenti, ma considerando l'anno al quale fa riferimento l'iscrizione, potremmo ipotizzare che la villa padronale sia stata edificata nel corso del 1700.
Innocenzo Bertocchi veniva invece da Budrio, aveva un discreto capitale da investire, e decise di acquistare non solo il fondo sul quale sorgeva Savignano, ma anche altri 16 fondi in zona. Alla morte senza eredi del Bertocchi, nel 1855, tutte le proprietà terriere, insieme ad un cospicuo patrimonio in beneficenza, passarono alla Fondazione Collegio Bertocchi.
A quanto sembra, né il Bertocchi né la Fondazione da lui creata sembravano avere grande considerazione degli uomini che lavoravano le loro terre, come rivela anche l'iscrizione nel granaio: la scuderia era curatissima, poiché fruttava guadagno e come già detto in un altro articolo (Da Bologna a Cento: la via Lame e le stazioni di posta per cavalli) era una delle stazioni di posta per cavalli presenti sulla via Lame, l'antica scorciatoia che portava da Bologna a Cento. Ma le abitazioni dei contadini erano fatiscenti, indecorose e sporche.
E questa condizione di grande precarietà non cambiò, ma anzi si aggravò con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, quando la popolazione del Savignano aumentò notevolmente. La località si riempì di sfollati, persone che cercavano rifugio dai bombardamenti degli Alleati. La maggior parte degli uomini in grado di combattere era stato chiamato alle armi e come altre borgate della zona, la sopravvivenza di questo luogo e di tutte le persone che lo abitavano, in balìa delle lotte tra partigiani e repubblichini, è stata messa a dura prova. Ora, nonostante la storia di questa borgata sia profondamente radicata nel nostro territorio, ad un certo punto tutto è stato spazzato via. Perché? Le ragioni possono essere molteplici: dagli anni Cinquanta del Novecento in poi, il borgo cominciò lentamente a svuotarsi. Non c'era corrente elettrica al tempo (pensate che fabbro e falegname per fare il loro lavoro utilizzavano motori alimentati a nafta o olio pesante). Si cercavano condizioni migliori di lavoro e l'industrializzazione del decennio successivo tolse sempre più valore al terreno agricolo. Quando il borgo rimase disabitato, tutta l'area fu soggetta ad un lento degrado.
Si pensa che ci fosse un problema di sicurezza dovuto all'eventuale ingresso nella proprietà di vandali o curiosi, senza un'adeguata recinzione o assicurazione.
E allora gli amministratori della proprietà pensarono di fare la cosa più risolutiva: radere tutto al suolo. Accadde a novembre, con una fitta nebbia, senza clamore. Nel giro di tre giorni, il borgo ed il suo palazzo padronale erano scomparsi. Era circa la metà degli anni '60.
Si sa per certo che ad un luogo che preservava una storia è stato impedito di continuare ad esistere, in quel modo semplice e tradizionale che caratterizza le antiche borgate. Ma non è dato sapere se c'era un'altra possibilità di scelta. Oggi l'unico superstite della borgata è un piccolo oratorio nascosto tra gli argini del fiume Reno, immerso in un silenzio tale che sembra la sola costruzione esistita in zona da sempre. Ma è un silenzio strano, di quelli che testimoniano un'assenza, confermandoci che certe cose sono perdute per sempre. E l'assenza non si può descrivere, se ne percepisce il vuoto costante e basta. Così sarà sempre per chi ha amato e ricorda questo luogo com'era un tempo.
Testimonianze e materiali utili alla scrittura dell'articolo:
- Devo ringraziare Giacomo Pesci per l'intervista che mi ha concesso: la sua testimonianza è stata indispensabile per comprendere com'era il borgo del Savignano quando lui ci abitava.
- Il borgo del Savignano non viene citato in molte pubblicazioni, se non in modo molto succinto. Cito a seguire quelle nelle quali ho trovato qualche informazione:
Antiche Ville e Palazzi della Campagna di Argelato – Lorenzino Cremonini e Piero Ruggeri – Ed. Esculapio, 1992
Dal Santerno al Panaro (sez. Argelato) – Proposta Edizioni, 1987
Immediati dintorni. Guida da un territorio di Pianura - a cura di V. Bianchi, G. Cavazza, O. Stivali, ediz. a cura dell'USL 25 di San Giorgio di Piano, 1989