Tipologia: resti del passato metallurgico di Populonia

Collocazione: Spiaggia di Baratti (LI)

 

Chiunque abbia avuto il piacere di visitare la Spiaggia di Baratti, sulla costa livornese, avrà notato che la sabbia è incredibilmente brillante, mescolata ad una polvere nera, e la presenza numerosa di “sassi” neri, alcuni più luccicanti, altri più levigati, di diverse misure, ma in genere piuttosto pesanti.

Si tratta di resti della lavorazione etrusca dei metalli, che nei millenni si sono mescolati all'ambiente naturale, in particolare polvere di ematite, scarti della lavorazione del ferro, frammenti di fornaci etrusche.

 

Per spiegare come mai questi resti si trovano sulla spiaggia, occorre raccontare le vicende storiche del territorio che circonda Baratti.

Gli Etruschi vissero a Populonia, sulla collina che sormonta la spiaggia, fra il VII ed il III secolo a.C. Populonia fu un centro di straordinaria vitalità e l'unico avamposto etrusco costruito direttamente sul mare.

In questa città gli Etruschi svilupparono, tra il VII ed il VI secolo a.C., l'arte e la tecnologia della lavorazione del ferro. Dal VI al I secolo a.C. nel Porto del Golfo di Baratti attraccavano le navi cariche di minerale ferroso provenienti dalla vicina Isola d'Elba.

L'ematite veniva fusa in speciali forni, che oggi l'archeologia sperimentale ha saputo ricostruire.

Il metallo serviva per costruire di tutto, dagli oggetti di uso quotidiano alle armi dell'esercito.

Dal VI al II secolo a.C. l'arte dei metalli conobbe il suo più alto splendore e gli scambi commerciali con il mondo greco e medio-orientale divennero sempre più intensi.

 

Tuttavia, anche se gli artigiani etruschi riuscivano a raggiungere coi loro forni i 1300°C, questa temperatura non era sufficiente ad estrarre tutto il ferro dall'ematite e il 60% del metallo rimaneva inglobato in una quantità impressionante di scorie di lavorazione, che arrivarono nel tempo ad un milione di metri cubi.
Nel IV secolo a.C, sia Populonia che le
necropoli a valle ne erano quasi sepolte, al punto che gli abitanti furono spinti a costruire sulla cima della collina tombe ipogee scavate nella calcarenite.

 

Verso il II secolo a.C. anche Populonia venne lentamente inglobata dall'espansione della civiltà romana, che spinse l'attività metallurgica fino al limite più estremo. Si pensi che gli Etruschi forgiarono le armi che Scipione l'Africano utilizzò per combattere la seconda guerra punica.
Ma intorno al I secolo, l'antica città, prima espugnata da Silla e poi abbandonata da Roma che guardava verso nuove e più ricche regioni minerarie, si avviò verso un inevitabile declino.

 

Per lunghi secoli, una miniera a cielo aperto di scorie di ferro copriva quella che un tempo era stata un gioiello dell'Etruria. Furono solo le moderne industrie all'inizio del secolo scorso a riportare Populonia alla luce utilizzando tali scorie nei loro altoforni e restituendo al contempo la terra ai boschi e all'antico silenzio.

 

Nonostante quest'opera di riutilizzo delle scorie, le tracce del passato metallurgico di Populonia ai piedi del promontorio sono ancora oggi imponenti. Le falesie, dove il terreno frana sotto la pioggia, restituiscono uno spaccato di storia antica sepolta a strati e sulla spiaggia si può trovare di tutto: resti di antiche sepolture, ciottoli di uso quotidiano, frammenti di fornace o altri elementi che opportunamente analizzati consentono di studiare le temperature raggiunte, il minerale lavorato ed il tipo di tecnica utilizzata.

Perciò, quando camminate sulla Spiaggia di Baratti calpestate un mondo antichissimo, che ancora oggi gli storici stanno studiando.

Sepolto sotto la sabbia, forse c'è un “sasso” che attende proprio la vostra attenzione, esattamente come è capitato a me.

 

Fonti di informazione e immagini:

 

- “Documentario Baratti e Populonia” di Andrea Bernardini

 

 

Genziana Ricci
Sono Genziana Ricci, una blogger curiosa e da sempre appassionata di storia, cultura e arte. Ho creato questo blog per condividere con i lettori piccole e grandi storie del territorio di pianura bolognese, ferrarese e modenese. Credo profondamente nel valore del confronto e della divulgazione di conoscenze legate alla nostra storia, alle tradizioni e alla cultura del territorio, perché sono parte della nostra identità e possono offrire alle nuove generazioni insegnamento e arricchimento. Del resto, la storia ha bisogno di camminare sempre su nuove gambe.

 

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